Borsellino, Falcone, Livatino, Pecorelli, don Peppe Diana, grandi personaggi, eroi uccisi dalla mafia e rimasti nella memoria collettiva grazie ai mass media e alle associazioni anti-mafia. Sono nomi importanti i loro, fanno rumore, spezzano le catene, rompono i silenzi. C’è qualcuno che ha fatto la loro stessa tragica fine ma non viene ricordato allo stesso modo. Non si tratta di un giudice, di un giornalista, di un prete anti-camorra, ma di una “piccola fiammiferaia”, una innocente e inerme ragazzina di 17 anni, siciliana di Saponara (Me), trucidata dalla mafia perchè protagonista a sua insaputa di una banale ma tragica scoperta.
Era una ragazza semplice Graziella Campagna, umile e riservata, quando nel luglio dell’ ‘85 inizia a lavorare come stiratrice in una lavanderia di Villafranca Tirrena (Me). Avrebbe iniziato a guadagnare qualche soldino contribuendo così a tirar su i suoi fratelli. Era una famiglia numerosa la sua, una di quelle dove diventa quasi scontato non dar prosieguo agli studi dopo la licenza media. Famiglia umile ma onesta, con sani principi e rispettoso senso civico.
Per sua sfortuna, la lavanderia è spesso frequentata dall’ingegner Eugenio Cannata e suo cugino Giovanni Lombardo.
E’ in uno degli ultimi giorni dell’anno 1985, che l’ingegnere porta in lavanderia una camicia con l’incarico di lavarla. Durante i normali controlli sulla biancheria, Graziella si imbatte in un’agendina contenente i dati personali del Cannata. La sua collega accortasi del fatto corre a strappargliela di mano. Graziella ne rimane colpita, tanto che racconta l’episodio a sua madre.
Qualche giorno dopo, l’ingegnare Cannata, mentre è dal barbiere, si accorge di aver smarrito l’agendina e si precipita in lavanderia intuendo di averla lì lasciata il giorno in cui ha consegnato la camicia. Dell’agendina non c’è traccia.
Il giorno in cui l’ha rinvenuta, Graziella Campagna ha firmato la sua condanna.
Nella serata del 12 dicembre del 1985, Graziella non prende l’autobus come di solito per rincasare. Viene prelevata dai due individui che qualche giorno prima le erano apparsi disponibili e gentili, viene portata a Forte Campane dove viene barbaramente uccisa. Cinque colpi di fucile a canna mozza. Dall’auto che l’aveva caricata la fecero scendere lungo una strada sterrata piena di buche, su di lei la pioggia e un cielo che non l’aiutò a sfuggire ad una morte orrenda. Una strada lontana dalle luci del paese e dal clamore festaiolo del Natale; nessuno avrebbe potuto udire le sue grida strazianti di dolore e le disperate richieste di aiuto.
Le spararono frontalmente a meno di due metri di distanza, prima il braccio, poi il volto, il petto, l’addome, la spalla. Tentò di ripararsi Graziella coprendosi il viso con le mani, ma non era ancora abbastanza. L’ultimo colpo fu alla testa, quando la giovane era già in terra straziata. Il proiettile partito a bruciapelo uscì dal cranio. Per lei fu la fine, un’orribile fine. Non fu stuprata, né picchiata, né drogata, stabilì l’autopsia; ciò vuol dire che fu completamente lucida e cosciente nell’assistere alla sua morte, nel guardare negli occhi chi le stava strappando così violentemente la vita.
Graziella non lo sapeva, ma in quell’agendina erano indicati i nomi reali e i traffici dei due signori cordiali e disponibili. Eugenio Cannata era in verità Gerlando Alberti, e il suo amico, non Giovanni Lombardo ma Giovanni Sutera. Il primo, boss latitante della mafia palermitana, il secondo, un pericoloso latitante già accusato di omicidio. C’erano i nomi di complici e protettori in quell’agendina, storie di pizzo e di tangenti, di appalti, di droga e di complicità nel mondo politico locale e non; di imprenditori, magistrati e carabinieri, oltre a nomi e numeri di telefono di altri mafiosi. Graziella non lo sapeva, ma tra le mani aveva roba che scotta, la fonte dei segreti e i misteri della mafia palermitana, traffici di morte e di stragi di mafia. Molto probabilmente l’agendina conteneva elementi atti ad identificare esecutori e mandanti della strage del rapido 904 del 23 dicembre ‘84. Vittima inerme e indifesa di una curiosità fanciullesca ed ingenua.
Contrariamente a lei, in paese tutti sapevano chi erano in realtà i due cugini non cugini. Erano soliti intrattenere abituali e cordiali rapporti con uomini delle istituzioni, delle forze dell’ordine, dei professionisti di Villafranca. Erano quindi perfettamente integrati e “rispettati” dagli abitanti del posto.
Nell’ ‘89 i due latitanti vennero rinviati a giudizio dal giudice istruttore ma 9 giorni dopo la Corte d’Assise di Messina dichiarò nulla l’ordinanza a causa della mancata notifica agli imputati dell’iter giudiziario. Il peggio non era ancora arrivato. Nella nuova fase istruttoria, nel marzo del ‘90, il giudice istruttore accolse la richiesta di proscioglimento dei due assassini per non aver commesso il fatto.
Nel febbraio del ‘96 il caso fu riaperto grazie all’appello di due associazioni antimafia durante la trasmissione Chi l’ha Visto?, alla tenacia dei familiari e al coraggio dell’avvocato di parte civile.
Nel ‘98 si diede il via al processo che terminò nel dicembre del 2004 con la sentenza di condanna all’ergastolo dei due assassini Gerlandi e Sutera e di due anni di reclusione per favoreggiamento per Franca Federico, titolare della lavanderia, e la cognata, collega di Graziella, Agata Cannistrà.
Nel marzo di quest’anno la Cassazione ha confermato la pena ad perpetuum inflitta dalla Corte d’Assise d’Appello di Messina del marzo 2008.
Oggi lo Stato le ha riconosciuto il diritto alla verità, il diritto alla giustizia. Ma Graziella ha anche il diritto alla memoria, il diritto di essere riconosciuta, alla pari di vittime “famose”, come vittima di un potere criminale e spietato che ha soffocato con 5 colpi di lupara calibro 12 i sogni, i progetti, la vita di una ragazza di soli 17 anni. Violenza inaudita e atroce barbarie hanno stroncato la spensieratezza di un’adolescente come tante, il diritto a crescere e a sperare in una vita migliore. E’ per questo che le nuove generazioni devono essere messe a conoscenza che la mafia non riguarda solo i mafiosi, ma anche se stessi. Giovani innocenti come Graziella possono trovarsi sulla strada di spietati assassini senza saperlo così come è capitato alla sfortunata adolescente.
C’è qualcosa che possiamo fare noi gente cosiddetta comune, noi che ci sentiamo così lontani da queste assurde tragedie, tragedie che spezzano la vita degli assassinati e quella delle loro famiglie. Portiamo il messaggio di Graziella, tra di noi, ai nostri colleghi d’ufficio, nelle scuole, al bar, in casa, non dimentichiamola. Manteniamola viva nei nostri cuori, non lasciamola morire per la seconda volta nel baratro dell’oblio. Lasciamo indelebili nella nostra memoria i giudici, i giornalisti, i preti anti-camorra assassinati dal potere mafioso, com’è giusto che sia, ma altrettanto non dimentichiamoci di Graziella Campagna. Non dimentichiamoci di chi non appare spesso in tv, non viene ricordata dai giornali, non viene omaggiata dalle istituzioni nel giorno dell’anniversario della morte, non è eretta ad eroe nazionale. Non dimentichiamoci di Graziella. Non dimentichiamoci che anche a 17 anni si può morire. Di mafia.
LINA PASCA
Lina, sei spettacolare!!!!
Anche tu gioia!