Lina Pasca e dintorni…

…perchè la storia siamo noi….

DON DIANA, ASSASSINATO E DIFFAMATO

Mi piacerebbe che oggi uno dei tanti giornali nazionali dedicasse una pagina al testo scritto da don Diana nel lontano ‘91, il cui titolo non è “Per amore della mia donna non tacerò”, ma è “Per amore del mio popolo non tacerò”, dove quello verso un popolo è un amore immenso, decisamente diverso rispetto a quello che si può provare per una donna.


E’ una sorta di amore incondizionato, senza limiti, senza pretese.  Lo stesso amore universale di Gesù Cristo morto su una croce, quale sacrificio per noi. Gesù Cristo è stato, ricordiamolo, il più grande “diffamato” nella storia dell’umanità…

L’amore per una donna ti dà anche, l’amore verso un popolo ti toglie, e al popolo non chiede nulla.

Oggi, però, trovare  su un quotidiano nazionale un ricordo di Don Diana non sarà possibile. Non è di moda, non fa tendenza… E poi cosa vuoi che importi alla gente di un prete ucciso dai Casalesi rispetto a chi ha vinto l’ultimo talent show o a chi appartiene il cuore della velina mora?

Già… Allora ricordiamolo noi.
Alcuni passi del discorso:

“PER AMORE DEL MIO POPOLO”

Siamo preoccupati

Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra.

Come battezzati in Cristo, come pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere “segno di contraddizione”.

Coscienti che come chiesa “dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che é la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà”.

La Camorra
La Camorra oggi é una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana.

I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l’imprenditore più temerario; traffici illeciti per l’acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato.
(…)

Vi sembrano parole scritte da un camorrista? O da un “femminajuolo”?
Con questo documento don Diana ha firmato la sua sentenza di condanna.
E’ stato assassinato il 19 marzo 1994. Era nella sacrestia della Chiesa San Nicola di Bari a Casal di Principe mentre si accingeva ad officiare la Messa. I quattro colpi sparati dai due killer non gli hanno dato scampo. E’ morto all’istante.
Wikipedia, nella sua biografia, lo definisce “vittima innocente della camorra”.
Un giornale l’ha definito “camorrista”.
Quando l’ha fatto l’ha ucciso un’altra volta.

Tra poco sarà Pasqua. Chi è cristiano sa che la Pasqua è rinascita, è la rivincita della morte sulla vita.
Sia Pasqua ogni giorno nei nostri cuori, allora. Lì vivano sempre e per sempre Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa, Don Diana, carabinieri e poliziotti massacrati per servire lo Stato.

Se sarà così, nessuno potrà permettersi di restare indifferenti di fronte al nostro ricordo.

Questi eroi parleranno per noi…
Oggi Don Diana parla per noi…
Con il loro sangue, con il loro ricordo, con le loro gesta sarà ogni giorno una nuova Pasqua.

Lina Pasca

Lina Pasca – Futuro e Libertà, Milano 12/02/11

Clicca su:

http://www.youtube.com/watch?v=dGKq36eyuRw

e potrai ascoltare il mio intervento all’Assemblea di Futuro e Libertà tenutasi a Milano l’11, 12 e 13 febbraio 2011.

ECO

ECO

Fredde ali bagnate
di rugiada e di tempo,
arbitrio festante
calda gioia di un momento

Fruscio di parole
nel vacuo del dentro,
forte un’eco a morire
arpia contro il vento

Lina Pasca

 

Creazione letteraria, vietata la riproduzione

 

SAPORE DI HAREM

E’ avvenuto qualche mese fa l’incontro tra Berlusconi e il leader libico Muhammar Gheddafi, a fine agosto esattamente. Può darsi che io abbia preso un colpo di sole visto la calura di quei giorni, ergo mi sovvenga con così tanto ritardo. O può darsi che solo adesso mi si venga a palesare davanti agli occhi un’immagine terribile: siamo anche noi in dittatura come in Libia?

Fonti di Governo avevano riferito, a poche ore dal rendez-vous, che i colloqui si erano incentrati prevalentemente sulla politica internazionale, in particolare sull’Africa, e sul Medio Oriente. Gheddafi, sotto una tenda beduina allestita presso la residenza dell’ambasciatore libico a Roma, aveva altresì ribadito la disponibilità della Libia a incentrare imprese italiane nel suo Paese. Felice epilogo, questo, della firma del trattato di Amicizia tra Italia e Libia di cui ricorreva il secondo anniversario. Ah, il partito dell’amore…

In serata si era poi dato il via ai festeggiamenti: cena, sfilata equestre di 30 cavalli berberi portati appositamente da Tripoli, e Carosello dei Carabinieri. Ignoro se con le alte temperature agostane, il leader libico avesse fatto richiesta, come avvenuto nel novembre 2009, di 200 ragazze, tutte rigorosamente sopra il metro e 70, a cui dare lezioni di Islam.

Ignoro il motivo per cui quelle tra il metro e 60 / un metro e 65 non potessero meritare il diritto alla “catechesi gheddafiana ” e soprattutto il regno di Allah (a parere del Muhammar, intendo). Ignoro pure se le ragazze in questione dovessero essere necessariamente illibate, anche se questo mi sembra poco probabile visto che come pony express era stato incaricato Silvio. Nel Paese delle Quote Rosa, chi s’intende più di donne come il nostro Presidente del Consiglio?

Chi non capisce l’amicizia tra Italia e Libia è prigioniero del passato” aveva dichiarato Berlusconi. Certo che se ogni volta che uno deve ospitare un amico, non so, a casa propria, in albergo, (o anche in tenda, fate voi) gli deve portare 200 ragazze, il fatto diventa un po’ complicato. Dove le trovo io 200 ragazze se un mio vecchio amico viene a farmi visita? Se cerco tra le insegnanti precarie, le ricercatrici, le casseintegrate, le disoccupate, a 200 ci arrivo sicuro. Anche a 2000. E anche a 20.000. Purtroppo.

Però è proprio un Paese strano il nostro: gli ex colonnelli di AN, La Russa e Gasparri, avevano appoggiato l’accoglienza riservata al leader libico, ma gli alleati leghisti non avevano proferito parola. Ma come, non volete più far disputare le maratone nelle vostre città perchè a vincere sono sempre i negri in mutande, e su Gheddafi no comment?

 

Ha ragione Berlusconi, siamo proprio degli ignoranti: lui vuole guardare al futuro e noi guardiamo al passato! Ha ragione lui, su tutta la linea: Chi non lo vota è un coglione. I magistrati sono comunisti politicizzati. In Italia c’è una grande libertà di stampa. Gli studenti meritevoli stanno a casa a studiare, quelli asini in piazza a protestare. Mangano è un eroe. La mafia è stata sovradimensionata dalle fiction e dai giornalisti anti-camorra. Rosi Bindi è più bella che intelligente. La crisi è un’invenzione dei media. La spazzatura sparirà da Napoli entro 3 giorni. E’ meglio andare con le ragazze che essere gay.

Le sue foto “come mamma l’ha fatto” pubblicate da El Pais? Balle, tutti fotomontaggi: è un giornale comunista. Escort che parlano degli incontri anche con le minorenni? Altre balle… è tutta gente gelosa delle sue ricchezze e invidiosa del suo Viagra. Calunnie, calunnie, solo calunnie.

Quel che conta nella vita (sua) è l’Harem. Come quello di Gheddafi. Oddio, mi si presenta davanti agli occhi di nuovo l’immagine terribile di prima: ho vissuto finora pensando di essere in un Paese democratico, e ora invece mi trovo in una dittatura? Come hanno potuto mentire in tutti questi anni i grandi della politica, di destra, di sinistra, di qualunque parte del Parlamento? Vivo in un Paese come la Libia, sotto il dittatore sultano Silvio Berlusconi, e continuano a chiamarla democrazia? Oh mio Dio, mi giunge un altro dubbio: ma sarò davvero cristiana o sono musulmana anch’io e non lo so? Non dovrò mica mettere il velo? No, mi sto facendo problemi per niente, tanto al metro e 70 io non ci arrivo… che fortuna…

Fatto sta che tra noi e i libici non c’è nessuna differenza: siamo anche noi in un sultanato.  E’ lui il nostro sultano.

Lui che mortifica le donne, il loro valore e il loro ruolo sociale, provinandole in casting per festini di lusso nell’ harem di Villa Certosa. Lui che mercifica anche le minorenni a corpo-oggetto come avviene nei Paesi integralisti mentre i suoi generali si indignano per la fine riservata a Sakinè.

Lui che da quando è lì, dove noi italiani lo abbiamo mandato, sta cercando di svuotare la Costituzione di contenuto per togliere potere al Parlamento.

Lui che si gratifica e si compiace del suo potere, che non distingue fra pubblico e privato, basta sia finalizzato ai suoi interessi.

Lui che ha reso prioritaria sulla crisi economica la riforma della giustizia per godere dell’immunità ed evitare di essere processato.

Lui che controlla 6 televisioni su 7 e che sa che solo 20 persone su 100 si informano attraverso i giornali, le altre 80 attraverso i suoi telegiornali. Lui che sa che la televisione non informa: disinforma, disorienta, confonde.

Lui che, attraverso soldatini e veline politicizzate, controlla e ramifica il suo potere nella rete vorace delle Regioni, il sistema del para-Stato.

Lui che, continuando ad avere l’appoggio popolare e a vincere le elezioni, dice: “ Sono così e agli italiani piaccio come sono, non cambierò”.

Ha ragione. Siamo noi a dover cambiare, siamo noi a doverlo fermare, siamo noi che dobbiamo strappargli di mano il Paese di cui si è appropriato, il Nostro Paese.

 

Nb: la ricompensa per le 200 ragazze riservate al Muhammar ammontava a 50 € ciascuna, per un totale di 10.000 €. Pagati non so da chi nel giorno del Convegno Mondiale della Fao sulla Fame nel Mondo.

 

LINA PASCA

LA TERRA TREMA, IL CORROTTO NO

In occasione del recente 30° Anniversario del terremoto dell’Irpinia, e a 2 anni dal terribile sisma dell’Aquila,  ripropongo, rivisitato, il pezzo “La Terra Trema, il Corrotto No”

Nei paesi di Lioni, Sant’angelo, Caposele, Calabritto, Conza, ed altri piccoli comuni situati al confine tra Campania e Basilicata, la scossa di magnitudo 6.8 della scala Richter, la sera del 23 novembre 1980, causò 2.735 morti, 8.850 feriti. Un’ apocalisse, 36 i paesi rasi al suolo.

Qualcuno dice che non si può prevedere un terremoto. Io dico che  la responsabilità degli amministratori locali a gestire la geometria di un paese senza piani regolatori fu palese.

Nessun politico tutelò la vita di chi in quei paesi ci viveva, di chi in quei paesi la vita la perse.

La morte di quasi 3.000 persone fu la ricchezza per altre. Su quelle macerie, politici democristiani prima e socialisti poi fecero altro scempio e costruirono il proprio potere. La spesa per la ricostruzione fu allargata a macchia d’olio così come l’area d’intervento.

Grazie ad un’inchiesta avviata nel 1990 da Indro Montanelli sulle pagine de il Giornale, fu costituita “Mani sul terremoto”, una Commissione Parlamentare d’inchiesta presieduta da Oscar Luigi Scalfaro.

La Commissione stabilì che grazie a politici quali Ciriaco De Mita, allora Presidente del Consiglio, Paolo Cirino Pomicino, Antonio Gava, Vincenzo Scotti, Francesco De Lorenzo, il commissario Zamberletti che aveva gestito i soccorsi e altri amministratori (spazzati poi via da Tangentopoli), 58.600 miliardi delle vecchie lire su 70.000 stanziati erano finiti misteriosamente nel nulla. Spariti. Finiti anch’essi sotto le macerie.

Mazzette, tangenti, appalti e quote di partito. Chiari i legami tra la classe politica e la camorra locale: un grande “affaire” costruito sul sangue di 2.735 morti.

Nel frattempo più di 35.000 persone continuavano a vivere nei containers ringraziando Dio per aver lasciato loro almeno la vita.

I comuni rasi al suolo insieme a quelli danneggiati furono complessivamente un centinaio. Eppure, entrarono a far parte della lista dei comuni terremotati, quindi destinatari di contributi statali per la ricostruzione, 687.

Politici corrotti in Campania, Basilicata e Puglia, prosciugarono i soldi stanziati per i disgraziati che continuavano a vivere nei containers. Molti di loro, nel corso degli anni,  misero al mondo dei figli, i quali, a loro volta adulti, finirono anch’essi all’altare senza mai aver visto una casa.

Dopo il sisma Avellino fu la provincia italiana in cui furono vendute più Volvo e Mercedes.

Dopo il sisma, a poche centinaia di metri dai campi roulotte, sorsero sontuose ville hollywoodiane.

Dopo il sisma, gli avellinesi divennero improvvisamente amanti del mare: fino al 1980 in tutta la provincia i possessori di yacht erano  stati meno di 10, qualche anno dopo se ne contarono un centinaio.

L’epilogo della vicenda? Lo scorso anno, la Corte d’Appello di Napoli ha riconosciuto che per alcuni imputati al processo il reato sussiste, ma è scattata la prescrizione. Gli imputati per corruzione – vale a dire spreco, malaffare, ruberie – non sono stati assolti, anzi condannati, ma prescritti. Risultato? Impunità assicurata.

Dopo il danno, per tutti coloro che sulle strade del terremoto hanno lasciato la vita o la dignità, è arrivata la beffa.

Direi che ancora una volta in Italia si vive di paradossi. Grazie alle leggi italiani, la terra trema, il corrotto no.

 

LINA PASCA

LO CHIAMANO ABUSO

08 marzo 2012 – In occasione della “Festa della Donna” ripropongo, adattato, “Lo Chiamano Abuso” , pezzo che non ha bisogno di presentazioni. Vuole essere solo un invito alla riflessione e alla sensibilizzazione di un problema enorme per il quale si è fatto ancora troppo poco.

LO CHIAMANO ABUSO

Nell’era dell’emancipazione sono ancora tantissime le vicende che vedono un numero impressionante di donne come vittime. Vittime di violenze, stupri, forme diverse di vessazione e persecuzione, molestie, brutalità. In alcuni stati dell’Africa, nel sud della penisola araba e nel sud-est asiatico sono ancora oggi praticate le mutilazioni genitali femminili.

L’infibulazione, asportazione del clitoride cui segue la cucitura della vulva, si pratica su adolescenti, bambine o neonate a seconda della tradizione locale. Ad essa segue la defibulazione, scucitura della vulva, che viene effettuata direttamente dallo sposo prima della consumazione del matrimonio. Si ha così la certezza che ella non sia stata posseduta da nessun altro uomo. La donna quindi non ha nessuna libertà, né di agire, né di pensare, né di vivere l’amore come meglio crede. In sostanza non esiste. E’ un oggetto nelle mani dell’uomo padrone, prima il padre, poi il marito. L’escissione lede in modo esponenziale la salute fisica e psicologica delle donne e delle sfortunate bambine che ne sono protagoniste. Non è da dimenticare che l’intervento è il più delle volte praticato senza l’ausilio di nessuna norma igienica e improvvisato da “macellai” senza scrupoli. L’infibulazione, difatti, provoca ogni anno numerose morti tra le sfortunate piccole o grandi donne, vittime di infezioni letali.

Ancora tanto diffuso il fenomeno della lapidazione, pena di morte nella quale chi ne è condannato muore attraverso il lancio di pietre, spesso con la partecipazione della gente comune. E’ una barbarie praticata soprattutto nel mondo islamico. La lapidazione delle donne musulmane avviene persino quando una donna viene violentata, in quanto rea, se sposata, di aver avuto rapporti sessuali al di fuori del matrimonio. In questo caso, la donna viene condannata a morte e uccisa attraverso il lancio di pietre da parte della folla, lo stupratore rimane impunito. E’ di un paio di anni fa la triste vicenda di una ragazzina iraniana di 13 anni, violentata dal fratello, rimasta incinta, e condannata alla lapidazione per rapporti sessuali illeciti ed incestuosi.

Non occorre andare oltre i confini del nostro bel Paese per parlare dei casi di stupro. Potremmo definire lo stupro come fa il codice penale italiano, che lo definisce costrizione mediante violenza o minaccia a compiere o subire atti sessuali.  Una definizione fredda, arida, sterile. Senza sentimento. Il legislatore non poteva fare altro. La definizione giusta dello stupro, in realtà, può essere data solo da chi ne è stata vittima. E’ l’umiliazione più grande che una donna possa subire. Entra nell’anima e l’anima toglie. E’ la sopraffazione sulla parte più intima del suo essere, dell’intero mondo della donna, del suo corpo così come della sua anima. E’ l’annientamento assoluto della sua libertà, della sua vita, dei suoi sogni. Donne che hanno subito violenza nella loro vita, non saranno mai più le stesse. Lo stupro cambia il corso della vita della donna che lo subisce, modifica il suo carattere e la sua personalità. Più della metà (è dimostrato dalle statistiche) è destinata a vivere gravi episodi di depressione, addirittura il 17% si toglie la vita. Chi decide di non farla finita e ha il coraggio di andare avanti, vivrà il resto dei suoi giorni con innumerevoli difficoltà a relazionarsi con gli altri, soprattutto nel rapporto col sesso forte. In seguito allo stupro, molte di queste donne vivono la situazione con senso di colpa e vergogna, tendono addirittura a colpevolizzare se stesse per l’accaduto.

Non dimentichiamo che di frequente la violenza viene perpetrata all’interno della stessa famiglia d’origine. E’ tra le mura di casa che spesso si consumano drammi atroci; il padre, il fratello, lo zio o il vicino di casa possono essere gli orchi cattivi. In questo caso è tutto più difficile. Spesso alle violenze fisiche sono correlate violenze psicologiche che fanno sì che l’esercizio del potere e il controllo da parte del familiare diventi per la donna un tunnel senza uscita. Questa è la ragione per cui la maggior parte dei casi finisce con una mancata denuncia.

Ergo tocca a chi governa il Paese dar vita ad una legge adeguata che possa finalmente punire gli animali a due zampe (senza offesa per gli animali). Tolleranza zero e nessun atto di clemenza nei confronti di chi si macchia di un reato così grave quale può essere la violenza carnale. Ricordo che solo dal 1996 lo stupro non è più reato contro la morale ma contro la persona. E’ solo da allora che non è più considerato semplicemente reato offensivo del buon costume e della morale comune, ma reato contro la vittima e la sua integrità psicofisica.

Nel mondo ogni 2 minuti una donna è vittima di stupro. Questo vuol dire che nel mondo ogni 2 minuti una donna muore. Lo chiamano abuso ma in realtà è la morte. Perché la morte più grande è proprio quella che ti lascia in vita.

LINA PASCA

LE MENZOGNE NEL SACCO

Al di là di ogni perversione, stile di vita o bunga bunga degni del nostro Presidente del Consiglio, ciò che interessa a Generazione Italia è la crisi finanziaria che il nostro Paese sta attraversando e una conseguente necessaria modernizzazione del mondo del lavoro adeguata alle richieste del mercato corrente. Non è della costituzionalità di un lodo già di per se incostituzionale (quindi non passibile di ulteriori approfondimenti) che vogliamo riempire le pagine dei nostri network. Non è dell’ultimo capriccio sotto le lenzuola di chi governa questo Paese che a noi interessa. E non perché come qualcuno erroneamente pensa trattasi di gossip: quest’ultimo riguarda la gente dello spettacolo, non i nostri onorevoli ministri. Ma perché ora siamo arrivati veramente alla fine. La fine di un sogno fatto di cartone, di un Paese dove tutto va bene e dove la crisi non esiste, dove chi si può permettere festini a base di champagne, dimentica chi non arriva a fine mese. Abbiamo bisogno che qualcuno restituisca dignità al popolo italiano, un popolo preso in giro, umiliato, incantato, che ha creduto in chi ha promesso e ancora continua a promettere. Il che, si badi bene, non è reato se lo si fa in buona fede. Ma mentire, NO! Il Paese sta crollando, aumentano i disoccupati, i cassaintegrati, i precari, i lavoratori subordinati. Non è terrorismo, quello lo lasciamo ai talebani. E’ realtà. Neanche il Ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che è sempre stato dissenziente sui dati sull’economia forniti dall’Istat e dalle associazioni di categoria, ha potuto negare la veridicità delle ultime analisi di Mario Draghi sull’occupazione. Secondo il Governatore della Banca d’Italia, lo scenario dell’occupazione italiana è quantomeno preoccupante: il tasso di disoccupazione pari all’8,5%, sale addirittura al di sopra dell’11% se si considerano i cosiddetti inattivi, cioè quelle persone che non cercano più lavoro. C’è qualcosa che non torna tra le analisi di Draghi e l’ottimismo di Berlusconi. E’ segno questo che i dati sono fallati e siamo tutti benestanti o che la tesi da paese del mulino bianco reclamizzato dal Presidente del Consiglio fino a qualche settimana fa comincia a mostrare cosa c’è realmente nel sacco? Niente, direi. Nel sacco non c’è niente, se non menzogne. Stare con Fini, non vuol dire solo aderire ad una politica fatta di legalità e di meritocrazia, dove le liste elettorali sono fatte dalla gente e non imposte, non vuol dire solo ridare all’Italia, ormai sbeffeggiata ed umiliata dal sarcasmo internazionale, l’immagine di un grande Paese qual’è, non vuol dire solo ritornare ad avere e pretendere rispetto per le Istituzioni, per la Magistratura e per la Carta Costituzionale, ma vuol dire anche e soprattutto sgombrare il campo dalle menzogne, rimboccarsi le maniche e prendere di petto questa situazione vergognosa che è a metà tra il tragico e l’inverosimile. Dobbiamo prendere coscienza che l’Italia è pienamente nel vortice di una crisi grave e contagiosa, guardarci allo specchio con la consapevolezza che il sogno di carta si è sbriciolato. L’Italia immobilizzata dall’incantatore mediatico deve avere la forza di uscire da questo tunnel di apparenze e frustrazioni. Solo se ci rendiamo conto di quella che è la verità, possiamo farcela. Così come i nostri nonni nel dopoguerra, tocca ora a noi combattere per riprenderci la nostra Italia. Noi, insieme a Gianfranco Fini.

 

Lina Pasca

da www.generazioneitalia.ivrea.it

L’IGNORANZA

Credo che la persona ignorante sia più felice. Ignora la giustizia, ignora la beltà dei valori, ignora il retto modus vivendi, ignora il bene e il male nella loro perfezione. L’ignorante vero fa paura. Fa più paura del cattivo. Non mi spaventa “l’ignorante in materia”, colui che non è sufficientemente a conoscenza di una branca del sapere, di un fatto o di una circostanza, mi fa paura colui che ha una percezione errata della realtà.

L’ignorante vero è quello che è convinto di avere la cognizione assoluta di un aspetto del vivere, senza ammettere la possibilità del contraddittorio. Tesi e antitesi, nella dialettica filosofica o comune, sono una dimostrazione della libertà d’espressione e del confronto civile. In assenza di tali elementi si palesa la dittatura dell’ignoranza. Il modo d’agire, indifferente a qualsiasi nozione di libertà individuale, viene assorbito dalla massa come vademecum, imprescindibile al modo d’agire stesso. E non importa se esso sia corretto o meno, se la modalità d’azione sia basata sulla legalità etica e/o costituzionale che è alla base di ogni comunità civile.

Viene adottato quasi sotto forma di ius non scriptum, un modo di fare “ignorante” dei valori fondamentali dell’essere, consuetudine che diventa modus operandi prima, modus vivendi poi. In questo scenario, malafede e ignoranza spesso si fondono o si confondono. O nel circo dell’opportunismo “i colti/sapienti con la cattiva coscienza” si approfittano dei “buoni ma ignoranti”, attirando l’attenzione delle persone nella direzione prestabilita per l’affermazione dei propri fini, o l’ignorante è già colui che è in malafede, ed è nella consapevolezza e la mercificazione della sua malafede che si cela dietro l’alibi dell’ignoranza. In questo caso, la miccia non può che provocare un grande botto.

Ed è così che cala il sipario sul lato osceno del mondo: sacche di ignoranza globale si diffondono e si moltiplicano come larve di mosche andando a stereotipare il modo di fare, di agire e di pensare.

Ecco che la mafia viene coperta dalla vergogna dell’omertà in chi, nei sobborghi siciliani, ancora crede che il Robin Hood “Don baciamo le mani” rubi al ricco per dare al povero.

Ecco venir fuori l’ignoranza sviscerata di colui che “porta rispetto” all’uomo d’onore, che venera il boss dei quartieri di Napoli, che si prostra a un “galantuomo”!

Ecco che la quattordicenne disgraziata, figlia di un quartiere popolare della periferia di Crotone, dovrà unirsi in matrimonio a quell’omuncolo di qualche anno più grande che l’ha resa oramai carne consumata.

Ecco che l’italiano del nord, autoconvintosi a suon di caz….. a definirsi padano, acclama dal fondo del palco un altro omuncolo (degno di quel di Crotone) che, delirante, strilla alla folla <<che l’Italia è degli italiani e che gli immigrati vanno cacciati a calci nel sedere>> (ndr: il termine usato è un altro, ma non lo ripeto a vantaggio di chi non è ignorante).

 Ecco che la povera madre di famiglia con la seconda elementare, o con una laurea in lettere (è uguale), per scongiurare gli effetti del malocchio che la vicina di casa ha fatto al suo bel figliolo, va a versare tutto lo stipendio e di più nelle mani della maga senza scrupolo. Un corno, un liquido miracoloso e una foto da bruciare con tanto di litania valgono più di un titolo di studio.

L’ignoranza è spesso sinonimo d’insensibilità. E’ vero. Consiste nel non capire la sofferenza, il dolore, il disagio altrui. Io dico che l’ignoranza è soprattutto un’immensa tristezza.

 

LINA PASCA

da www.le-cercle.it

ANNO SCOLASTICO 2010: LA GUERRA TRA POVERI

<<Precario, precario, precario…>> No, non sono impazzita. E’ solo lo status dei tanti che affollano questo immenso parcheggio nel disastrato mercato del lavoro. Tagli, finanziaria, decreti, forse mangeranno queste parole ad ora i pranzo i tanti precari piemontesi.

Quattro precari della scuola milanese sono entrati in sciopero della fame, seguendo l’esempio dei colleghi di Taranto, Roma, Benevento e Pordenone.  E a Torino e nel Canavese la situazione non è certo migliore. Sono dovuti intervenire i Carabinieri alla Scuola Media torinese Ada Negri, al momento della chiamata dei supplenti annuali. Con 350 cattedre assegnate, la graduatoria si è praticamente esaurita e la giornata è finita tra l’angoscia di chi un posto non ce l’avrà nemmeno quest’anno e la soddisfazione temporale di chi potrà pagare il mutuo almeno per i prossimi 12 mesi. Scene di delusione e di amarezza senza conforto si sono viste anche all’Istituto Berti, sempre nel capoluogo, dove chi ha ottenuto il posto ha dovuto alternare il suo sospiro di sollievo a messaggi di solidarietà per chi invece il posto non l’ha avuto.

<<Ho visto la disperazione sul volto di molti di loro. Ho visto le lacrime>> A dichiararlo è Romano, precario plurilaureato, tra quelli che sabato scorso aspettavano la nomina per un posto Ata. <<Eravamo in trecento circa. Le forbici del duo Tremonti-Gelmini, binomio espressione dell'”amorevole” presidente Silvio Berlusconi, di lì a poco avrebbero effettuato “un coup” su molte delle circa trecento persone in attesa. Sono uno dei fortunati (nella sfortuna) che ce l’ha fatta>>.

Ha in tasca la nomina ora Romano (non sa ancora per dove), che per un anno gli garantirà un lavoro retribuito con 950 euro. Alle volte. Già, perché alla fine non è così. Residente in un piccolo paesino a sud di Torino, ha viaggiato lo scorso anno sei giorni su sette alla volta di Ivrea, con spese di spostamento che rasentavano i 100 euro mensili e ore di viaggio giornaliere, lievitate a sei (treno+bus) a causa di lavori su un ponte ferroviario, in un Paese dove si plaude all’alta velocità. <<Agli svantaggi della distanza e al morale a pezzi – chiosa Romano – si aggiunga che nella scuola non esistono i buoni pasto, per cui altra somma da decurtare al già non esaltante stipendio mensile>>.

Esausta e col morale a pezzi è Raffaella: «Io non ho figli, ma ho il mutuo da pagare e così ho accettato una cattedra a Ivrea. Scade il 30 giugno ed è fatta di tre spezzoni, due diurni e uno serale. Ora sono qui sperando di trovare qualcosa di più vicino a casa». Mentre la tensione con i docenti saliva e si sentivano gli oltre 200 presenti urlare «vergogna!>> Monica ricordava lo scandalo di un costo che sta diventando obbligatorio per gli insegnanti in graduatoria «I corsi di specializzazione on line – afferma – valgono 3 punti, se non li fai vieni superato da altri. È una farsa, la speculazione di alcune agenzie di formazione avallata dal ministero»

E mentre il Governo continua a ripetere che “tagli non ve ne saranno” ripenso a Romano e alla sua voglia di partire, di lasciare l’Italia. <<Un’Italia in cui si fa appello ora al senso di responsabilità – afferma – Già, ma prima? Dove erano coloro che oggi inneggiano al senso di responsabilità e fanno carta straccia delle sentenze? Dove erano coloro che percepiscono 435 volte la somma di un operaio? Dove erano quando si arricchivano con le speculazioni e noi, a sporcarci di olio, di grasso, di sudore, con contratti a termine, interinali, ci impoverivamo mentre lor signori si arricchivano? >>

Me lo chiedo anch’io dov’erano, me lo chiedo insistentemente. Ma come Romano, Raffaella, Monica e i tanti precari della scuola italiana, piemontese e canavesana, anch’io non ho una risposta.

 

LINA PASCA

LA COSCIENZA DI UN PEDOFILO

La mano grande e gelida di un uomo attempato e senza coscienza. Si intrufola nell’anima della bimba che a sei anni nulla conosce dell’infamia dei grandi. Le sfiora la pelle, le solca l’animo sino a rubarne la vita. Due occhi grandi di un azzurro profondo come il mare e più del mare verranno inghiottiti dalle grosse fauci della libido insana di un essere malato. Come chi in quel mare è annegato vedendo a meno di un metro la brutta faccia di quell’arpia che è la morte, come chi ha sentito il fiato strozzarsi in gola fino all’ultimo sofferente sospiro, ecco pervadere la stessa terribile e interminabile paura.

La coscienza. Cos’è per quell’orco la coscienza? Mente e corpo uniti dallo stesso perverso vizio, senza distinzione e netta divisione tra il centro emozionale positivo e l’involucro di un metifico corpo. Coscienza quale capacità cognitiva di distinguere il bene e il male e riflessione del pensiero etico giusto su stesso. La coscienza. Mera espressione del mondo interiore o dell’attività celebrale frutto di esperienze di vita vissuta. Qualunque sia la definizione che filosofi e neurologi danno alla coscienza, nulla si può di fronte a chi l’altrui mancanza di coscienza l’ha vissuta sulla propria pelle distruggendo una serenità interiore che mai più ritornerà.

Un piccolo corpo violato è la dimostrazione di quanto infame può essere l’uomo nella sua assoluta mancanza di coscienza. Un uomo che ha malvagi pensieri, un uomo che rapisce un angelo dal suo caldo angolo di paradiso scaraventandolo fino al piano più infimo dell’inferno, un uomo che sorride nel vedere le lacrime rigare il viso di una piccola creatura, un uomo che raggiunge la gioia nell’osservare un corpicino nudo, questo ed altro ancora, è l’emblema della non coscienza.

<<Ricordo la sua risata diabolica alle mie preghiere di lasciarmi andare – mi confida Lisa, oggi trentenne – ricordo quanto si sentisse forte e padrone di me quanto più lo imploravo di smetterla. Sento ancora sulla mia pancia da adulta, oggi, le sue dita, allora, premermi sul piccolo ventre, quasi a pregustare ciò che avrebbe toccato poi>>. Nel sentire questa raccapricciante storia, una strana e indescrivibile sensazione s’impadronisce di me, un malessere quasi fisico mi opprime l’animo e un senso di disgusto e quasi di vomito inquina il mio essere dapprima sereno e in apparenza preparato al racconto. Uno stato di agitazione pervade ogni fibra del mio corpo, nulla riesce più a togliermi dalla vista e da una surreale immaginazione i momenti terribili che Lisa, bambina, avrà dovuto sopportare.

Le lacrime… quante lacrime… prima le immagino e poi le vedo. E’ di fronte a me questa donna, bella, intelligente, folta chioma ramata e timide lentiggini su viso ceruleo; un marito che la ama e la rispetta, un bellissimo bambino, un lavoro appagante e una vita di successi. E’ di fronte a me solo una di chissà quante vittime dell’abominio di chi una coscienza non ce l’ha.

<<Mio figlio non saprà mai quello che mi è successo alla sua età, né mio marito conoscerà mai la verità – continua Lisa, mentre il tono della sua voce tenta invano di celare l’amarezza- potrei dar loro una sofferenza  ancor maggiore di quella vissuta da me ventiquattro anni fa e che mi tormenta l’animo ogni istante della mia vita>>. Si ferma un minuto, giusto il tempo di gestire il suo pianto, ricomporsi con dignità e rivolgermi un breve e sofferente sorriso. <<Oggi sono serena – continua Lisa con la voce divenuta sempre più flebile –  ma non tornerò mai più la bambina spensierata e felice che con infantile innocenza bussava alla porta di quel suo vicino di casa senza coscienza. Non sarò mai più la stessa.>>

Ho gli occhi spalancati nell’innaturale tentativo di contenere le lacrime, i pugni serrati a stringere la rabbia che a mala pena riesco a trattenere, e solo per caso mi accorgo che quasi mi ferisco le mani con le mie unghie allungate. Il tutto si conclude con un abbraccio. Dentro ci sono le parole che non riesco a dire. Da oggi non sarò mai più la stessa nemmeno io.

LINA PASCA

da www.le-cercle.it

EROS

 

EROS

Malìa di occhi a scrutare l’incanto
ebbrezza di fuoco tra estasi e vanto
fende lama di spada di brame
sino a solcar le viscere arcane

Demone infesto di furente passione
membra in affanno in beata visione
più forte di fiumi in odor di tempesta
più cheta di riso di pargolo in festa

Piume di falco nell’immenso Creato
megere tremanti d’anelito e fiato
a sfidar tramonti e desolate aurore
soffocate dal tocco del Dio dell’Amore

Eros soave, tormento struggente
silenzio ed arbitrii di insanita mente
liberi corpi tra peccato ed ardore
struggono l’animo col dramma del cuore

Nessun’età a violarne presenza
t’annebbia il lume sino a demenza
capriccio del corpo, fiamma di Dio
distrugge l’anima e l’essenza dell’Io

Mistica piaga di ignavia quiete
lasciò spazio a famelica sete
come ladri di luce portatori di croce
della carne morimmo a sentirne la voce

 

 

LINA PASCA

Creazione letteraria. È vietata la riproduzione.

FIGLIO

Alito di vita
tumulto di stelle
passione di vittorioso vagito
mi scorri nelle vene più del mio stesso sangue
oh figlio!
Ti serbo nelle viscere carnali
ove vivrai notti di tempesta
tu
fiore assetato di acqua e di sole.
Per sempre.

LINA PASCA

Creazione letteraria. È vietata la riproduzione.

MAMMA, SONO VITA. FAMMI NASCERE

Questo scritto è pieno di rabbia, pieno della mia ira di donna e di essere umano. Di donna che ha dato la vita e che rimane sdegnata dalle speculazioni politiche e sociali, e dalle mercificazioni che si fanno attorno a una tragedia umana quale può essere l’aborto. Mi rivolgo alle donne, tutte, ma soprattutto a quelle che si definiscono femministe, volendo dare, con tale termine, un’accezione positiva all’universo femminile legato all’interruzione di gravidanza. Sbagliando.

Femminismo, un termine non usato ma abusato, che presuppone una differenza tra uomo e donna. Differenza che anatomicamente esiste. Punto. Se si valida una rivendicazione femminile, si conferma una differenza di status, che  non esiste. Sussiste invece una differenza di ruoli. Ed è giusto che sia così. L’uomo e la donna sono due creature simili e diverse che vivono in simbiosi, l’uno non può fare a meno dell’altra. Solo con l’unione di due corpi fisiologicamente sinergici nasce la vita. E perché se un figlio si concepisce in due, portare avanti una gravidanza dovrebbe essere deciso solo dalla donna? Perché ha l’utero? Non se ne farebbe nulla del suo utero senza l’uomo, così come l’uomo non se ne farebbe nulla del suo seme crea-vita senza di lei. Eccola, portatrice di grandi conquiste, ergersi a sola padrona dell’essere che ha in corpo. Eccola ancora una volta lì a decidere se dare la vita o ammazzare un essere vivente.

L’aborto non è una conquista di civiltà, è un abominio. Cosa c’è di civile in una pillola che uccide una vita umana? Cosa c’è di etico nell’aumentare la libertà della donna a scapito di una vita? E questa sarebbe libertà? La donna, la stessa donna che subisce violenze fisiche e/o sessuali, che tante volte rincorre il suo aguzzino, condanna violenze e atrocità, si sporca le mani, con una tremenda barbarie, ancor più del suo orco?

Dove sono quelli che si battono il petto condannando terroristi, brigatisti, mafiosi, camorristi, perché assassini, ed elevano a conquista dell’umanità una simile atrocità? Non si era detto che non esistono i morti di serie A e quelli di serie B? Non si era detto che gli assassinati sono tutti uguali di fronte a Dio così come gli assassini di fronte alla legge? E perché questo non vale per un’anima di pochi giorni o poche settimane, anima che è già vita, ma solo per chi dal ventre materno ha avuto la grazia di uscire? Ci facciamo portatori di sentenze, diventiamo tutti giudici quando si tratta di vicende di uomini. Piazze e stazioni che saltano in aria come pop-corn in padella, treni ed aerei maciullati da bombe micidiali, catastrofi naturali, terremoti e tsunami che spezzano la vita in meno di un secondo: invochiamo la giustizia, celeste e terrena. E poi uccidiamo i nostri figli, osannando la celebrata libertà, lavandoci la coscienza come le macchie con la candeggina.

Cosa c’è di più abominevole di un assassinio di un bambino? Un essere nel ventre materno perché mai dovrebbe avere meno diritti e meno dignità di un bimbo ucciso dalla propria madre ma a tre anni, a sei, a cinque mesi? Soffocato nella vasca durante il bagnetto, gettato in un lago, fatto volare giù dal quinto piano, perché?

<<Ha presente un nodo scorsoio? L’effetto è esattamente quello di un cappio che si stringe attorno al collo di un esserino che ha già mani, gambe e braccia. Ma ci mette cinque giorni ad asfissiarlo>> Queste le parole del ginecologo di fama mondiale, prof. Antinori, che ne sa sicuramente più di me, di chi legge e di tutte le persone sedute sulle sedie del potere o comuni mortali seduti a casa a commuoversi davanti alla tv per una strage di mafia.

E ancora: vogliamo ricordare gli effetti che la RU 486 ha sulle donne? Nausee, vomito, e pericolosissimi sanguinamenti, col 30 per cento di possibilità di dover poi ricorrere a interventi chirurgici di completamento dell’aborto. A ciò si aggiunge un rischio di infertilità del 15 per cento, e al rischio di mortalità, motivo per cui Paesi come Francia, Australia, o la liberalissima Svezia, l’hanno quasi ormai vietata.

Certo, quella donna che oggi abortirà, magari tra 3 anni vorrà un figlio e lo farà nascere. Poi dopo 2 anni resterà incinta, ma non si sentirà ancora pronta per affrontare un’altra gravidanza, e allora, giù con la pillola. Poi ne passeranno altri 3, allora sì, lo vorrà.  E poi ancora ad abortire o a dare la vita a suo piacimento. Un oggetto, sì, una vita innocente diventa uno squallido e scomodo oggetto.

Se questo significa essere donna, mi vergogno di esserlo, se questa è una conquista dell’umanità, preferisco considerarmi un animale piuttosto che un essere umano.

LINA PASCA

L’ORRORE DEGLI ANGELI

Rivisitazione del pezzo “Scusate, sono solo un bambino”.

Denise Pipitone, Angela Celentano, Pasqualino Porfidia, Estelle Mouzin, Maddie McCann, Santina Renda… Potrei elencare tanti nomi, ma questo spazio non basterebbe. Le loro famiglie vivono nell’angoscia e nel dramma ormai da anni. Si tratta di bambini inghiottiti dalla terra.

Quello dei bambini scomparsi è purtroppo un fenomeno in forte crescita. Solo nei primi 3 mesi nel 2008 e solo in Italia, i bambini scomparsi sono 368. La Polizia di Stato riferisce nell’ultimo aggiornamento che i minori scomparsi dal 2005 al 2008 sono 2932. Cifre da far accapponare la pelle. E non sono tanti. Non per tutti i minori scomparsi viene sporta denuncia. Ci sono le cosiddette scomparse silenziose. Quelle di bambini che vivono in Italia ma che non sono stati mai neanche censiti. Quelli che vivono nel degrado, ai margini e quasi sempre nell’illegalità, gli immigrati clandestini, africani, rom, cinesi e altri extracomunitari irregolari. Di questi bambini non si sa nulla, nulla significa che molte volte non esiste nemmeno una foto, forse esiste un nome, quasi mai un cognome… E non esistere, significa che se ti rapiscono, se ti vendono, nessuno se ne accorge. Di bambini stranieri ne scompaiono in media 48 al mese, quasi 2 al giorno. Qualcuno li considera bambini di serie B. Hanno un altro colore della pelle, appartengono ad un’altra etnia. Ma sono innocenti, come i nostri figli. Italiani e stranieri, sono migliaia i bambini che ogni anno svaniscono nel nulla, diventano fantasmi.

A seguito della scomparsa di Estelle Mouzin, bambina francese svanita nel nulla 6 anni fa tornando da scuola in un paese di 1000 anime a Guermantes (Parigi), ho ascoltato un’intervista rilasciata dal presidente di un’associazione francese che si occupa di bambini scomparsi. Parlava di individui che si dedicano a fotografare bambini a loro insaputa (a scuola, ai giardini, nei loro momenti di gioco), e con le foto creano dei book a disposizione di quelli che vogliono bambini. Così il cliente può scegliere direttamente su catalogo e scatta in questo modo l’operazione rapimento. Ignoro se accanto alla foto sia riportato anche il prezzo.

Dunque proviamo a ragionare, sempre che qualcosa di razionale esista nello squallore di cui stiamo parlando.

La pedofilia è la manifestazione di una forma di devianza sessuale a causa della quale una persona sessualmente adulta prova attrazione sessuale in soggetti sessualmente immaturi. Soggetti cioè in età pre-puberale, ossia bambini o preadolescenti non ancora sviluppati fisicamente. Attenzione: non bisogna confondere la pedofilia con la pedopornografia. Se la pedofilia rimane preferenza sessuale, per la legge non è reato, al massimo un disturbo psichico. In medicina il termine indica l’orientamento sessuale del soggetto, non un comportamento illegale, in quanto ci sono pedofili che lo sono ma non commettono atti illeciti molestando i bambini. Questa è la cosiddetta Pedofilia Latente, cioè morbosa attrazione verso i bambini ma che rimane inespressa e trova il suo sfogo solo nelle intime fantasie erotiche.

C’è poi la Pedofilia Attiva in cui si realizzano violenze a danno dei bambini, e in ultimo, ancor più grave la Pedofilia Killer, in cui oltre alla violenza sessuale, il massimo godimento avviene con la morte della vittima.

La pedopornografia è invece la rappresentazione di atti sessuali in cui sono raffigurati bambini. Questa può essere gestita anche da chi non è pedofilo. Ciò significa che dietro i rapimenti dei bambini per pedofilia, non ci sono solo pedofili in senso stretto, ma uomini cosiddetti normali che si dedicano al loro commercio. Magari uomini che a casa hanno mogli e figli! Fanno parte di organizzazioni che commerciano in bambini, hanno il vincolo contrattuale di mettere sulla piazza un certo numero di merce all’anno, e certo è che più è carina agli occhi dei mostri, più facilmente verrà piazzata. La pedopornografia, come molte altre attività criminose, ha alle spalle un consistente giro di denaro.

Mi chiedo dove può arrivare la cattiveria umana, la mancanza di cuore e di rispetto per la vita altrui. Sono una madre anch’io. Non penso che potrei sopravvivere se le mie figlie scomparissero nel nulla, preferirei la morte. E so che chi sta leggendo ora questo pezzo la pensa esattamente come me. Ecco perchè la mia grande stima va alle madri coraggio di tutto il mondo e ai papà la cui vita è stata spezzata il giorno in cui la mano dell’orco cattivo ha sottratto il proprio bambino all’amore della sua famiglia. Il mio rispetto va a Piera Maggio, mamma di Denise, alla famiglia Celentano, alla famiglia Porfidia e a tutti quelli che vivono i loro giorni ancora senza i loro bimbi. Offriamo tutti la nostra solidarietà a questi genitori che non si arrenderanno mai, che cercheranno i loro bambini scomparsi senza tregua, fino al loro ultimo giorno di vita.

Bambini: ancora una volta usati, abusati, sfruttati e mercificati per il piacere, il guadagno, la cattiveria dei grandi.

IL MIO GRIDO DI DOLORE: LETTERA A FINI

  Se la presente fosse scritta da un “grillino”, un “dipietrino” o un “bersanino”  certo non farebbe clamore; la politica è anche l’arte di dire tutto il contrario di tutto. Ma io sono una che si trova nelle fila di chi governa, una berlusconiana direbbe qualcuno. Sbagliando. Mi chiamo Lina Pasca, sono Consigliere Comunale di Banchette, un piccolo paese di 3000 anime della fredda provincia torinese. Nei valori di Dio, Patria e Famiglia ho creduto anni fa come oggi, ma mi sono tesserata ad Alleanza Nazionale molto prima che, dal profondo cilindro, l’ambiguo mago di passaggio tirasse fuori il PdL. Nel frattempo, qualcosa è cambiato. La politica, dal greco “arte di governare lo Stato”, ha mutato il suo significato letterale rientrando nei meandri dell’ immorale logica del potere. La mia stima per Fini è stata grande quanto grande è l’universo della mia coscienza. Proprio da lì, la voce altisonante della libertà si è ridestata dalla dittatura delle idee, abbattendo i muri dell’ipocrisia, dell’affarismo e della politica sporca. Ergo, la mia necessità di rivolgermi direttamente a Te caro Gianfranco, scrivendoti questa missiva e rendendola pubblica, visto che concerne la res publica. Legittimo successore di Almirante, il quale ti definì “un grande italiano”, figlio di un MSI già violentato dall’alibi della democraticità, hai sfornato AN lasciando, ai nostalgici di stampo conservatore, l’amaro in bocca. Hai chiesto scusa per gli errori e gli orrori della storia di cui non avevi colpa, palesandoti davanti ai miei occhi non come un politico ma come “il politico”. Nonostante questa tua tendenza alla centralizzazione, sapevi che da solo non avresti mai vinto le elezioni. Avresti dovuto fare un altro passettino in avanti scendendo a compromessi, coalizzandoti con chi era stato costretto a schierarsi (per non perdere il suo impero) contro i nemici di sempre, i comunisti. E così dalla sala parto dell’opportunismo è nato quel partito unico in cui mi sono ritrovata improvvisamente, senza che avessi la facoltà di scegliere, dove Berlusconi ha usato Te e Tu hai usato Lui. Hai ottenuto una poltrona, Egregio Presidente della Camera, da dove svolgi pregevolmente le tue funzioni. Quasi quotidianamente ricordi a Berlusconi che “lavori con lui, non lavori per lui”, ma non sei stanco Gianfranco? Non sei stanco dei continui sorprusi del tuo datore di lavoro” ? Non sei stanco di far parte di una compagine diventata barzelletta agli occhi del mondo? Non sei stufo di essere ridicolizzato quale “portantino” di chi su quella poltrona ti ha messo? Non ti rendi conto di essere il servo di un padrone che sta facendo del suo incostituzionale modus operandi la normalità? Abbiamo iniziato con le escort, storie di sesso e di potere. Tutto normale se la storia riguardasse un ragioniere e la sua segretaria, ma riguarda qualcun altro. Per gli stessi motivi il Presidente della Regione Lazio si è dimesso, Berlusconi no, non l’ha fatto. Poi c’è stato il lodo Alfano: si sa, i magistrati sono corrotti quanto i giornalisti sono farabutti. In ultimo, il Processo Breve: immorale, bieco, eticamente scorretto. Ergo, non si può più tacere. E’ impensabile che in virtù di questo procedimento chi aspetta giustizia potrebbe passare a miglior vita senza averla ottenuta, è inconcepibile il fatto che chi dovrebbe scontare una pena potrebbe non farlo perchè trascorsi i termini: la giustizia è un diritto! La magistratura in Italia ha bisogno di riforme, le lungaggini processuali sono una mostruosità che ci inserisce tra gli ultimi nella classifica europea. Ma va riformata dal basso, potenziando la macchina dei tribunali e aumentando il numero dei magistrati. Il Processo Breve non è la strada giusta, è anche peggio dell’indulto, oscenità del passato Governo su cui tanto ci siamo battuti. Ma tu sai meglio di me Gianfranco perchè è stato ideato e non mi interessa il fatto di essere una Consigliera di centro-destra per denunciare il tutto. Sono una persona, e come tale ho il diritto di capire, di esprimermi, di render noto il mio pensiero, è la libertà che me lo permette, quella di cui Tu ti stai privando. Non posso pensare Gianfranco che Tu rimanga a guardare. E’ vero che questo Governo è padre di tanti successi, Abruzzo, riforme, piani di sviluppo, leggi anti-stolking, così come è vero che ci sono magistrati a cui Berlusconi non è “simpatico”, ma la legge non la fanno i magistrati. Chi è accusato di un reato deve essere processato, chi è colpevole deve essere condannato. Ti ricordo che neanche l’immenso potere di Craxi partorì un simile antidemocratico pensiero, lui che finì processato come tutti i comuni cittadini e finì la sua vita in terra straniera. Perchè Berlusconi non dovrebbe essere processato come tutti gli altri? Se è innocente, perchè non dimostrarlo? Me lo spieghi Gianfranco? Non puoi continuare a svolgere il tuo ruolo con l’intima speranza che la legge passata al Senato non passi alla Camera, non puoi incrociare le dita affinchè il ko sia la tua salvezza, senza che Tu possa gridare la tua contrarietà. Perchè lo so Gianfranco che a Te il Presidente del Consiglio non piace, che consideri incostituzionali i suoi disegni di legge, che pensi che i molti che lo criticano abbiano le loro ragioni. Ma tu non ti esponi, pensi alla poltrona, e te lo fai piacere il Cavaliere! Ma dove è finita la tua dignità? Dov’è finito l’orgoglio della destra italiana? Dov’è finito il “grande italiano”? Sono fiera di essere del centro-destra Gianfranco, ma non sono fiera di questo centro-destra. Non voglio sentirmi in difficoltà per difendere Berlusconi dagli attacchi che gli vengono mossi, perchè non c’è ragione di difenderlo. Tolga dall’imbarazzo i sostenitori del suo governo affinchè possano continuare a sostenerlo con ragione e si faccia processare! Credo nella Costituzione, nella legalità, nella democrazia, ma Voi me le state portando via. Io non sono una goccia nel mare, il malcontento nel PdL cresce: vorremmo difendere coi denti idee in cui neanche noi crediamo, perchè sappiamo che son sbagliate. Gianfranco, vorrei continuare ad essere fiera di Te, ma con questi presupposti è impossibile. Il Cavaliere non mi ha mai delusa perchè non mi ha mai illusa, Tu sì. Continuerei ancora a stimarTi se credessi anche Tu nei valori dell’onestà, la rettitudine, la libertà. Quella stessa libertà che mi oscura la ragione, che mi trasforma in un fiume in piena, che mi stravolge l’animo, che mi fa parlare con la passione di chi spera, che non mi fa avere paura delle critiche che i miei colleghi mi muoveranno domani. Non ho paura Gianfranco, non averla neanche tu. Non si può più tacere, non si può, non si deve! Allontanati da chi sta consegnando il nord alla Lega, da chi sta creando leggi mostro per i suoi interessi. Ti prego Gianfranco, allontanati dai nefandi giocolieri e dagli abili illusionisti del circo del potere. Non ti interesserà, ma se non lo farai tu, lo farò io. Nella stazione dei sogni il treno si ferma. Io scendo.

LINA PASCA, una Finiana

AMOR IN VERSI…

Così breve è il nostro
Cammino in questo sogno.
Il mondo di una rosa.
Ma noi lo rendiamo Immenso
Con soste di lunghi dolci baci
Sulle foglie aperte
 
(XV sec. a.C.)

«OCCORRE RIMUOVERE IL SEGRETO DI STATO» Intervista su LucidaMente

Il magazine LucidaMente, rivista mensile di cultura ed etica civile, ha intervistato Mario Arpaia il Presidente dell’Associazione Memoria Condivisa  e Lina Pasca sua collaboratrice. In primo piano, come sempre,  il culto della memoria verso le vittime del terrorismo e delle mafie. L’intervista a cura di Simone Jacca è presente sul sito del magazine www.lucidamente.com alla pagina http://www.lucidamente.com/default.asp?page=lastNumber&id=6 

 

«OCCORRE RIMUOVERE IL SEGRETO DI STATO»

Il 2 agosto 1980, alle ore 10,25, un ordigno esplose nei pressi della stazione di Bologna causando 85 morti. Bari fu la città che, in termini di vite umane, oltre il capoluogo emiliano, pagò il prezzo più alto: sette vittime. Il 18 novembre scorso, 29 anni dopo, è stato formalizzato un gemellaggio tra le due città dal fortissimo valore simbolico, per far sì che non si dimentichi la strage, per far sì che non si dimentichino le vittime.
Dell’Associazione Memoria Condivisa, che è stata tra le ideatrici e promotrici di questo storico evento, abbiamo intervistato il presidente Mario Arpaia e Lina Pasca.

Il gemellaggio tra le città di Bari e Bologna può considerarsi un vostro traguardo?
LINA PASCA: «Sì, può considerarsi un nostro traguardo ma soprattutto un traguardo per gli italiani. La collaborazione istituzionale fra le città di Bari e Bologna intende rafforzare l’impegno civile volto a mantenere viva la memoria delle stragi. Le tragedie del nostro Paese non coinvolgono solo coloro che in esse hanno perso la vita e i loro familiari, ma gli italiani tutti».

Memoria Condivisa si impegna a onorare la memoria delle stragi italiani. Quanto il nostro Paese ne ha bisogno?
LINA PASCA:  «Il nostro Paese ne ha un bisogno immenso. Soltanto portando i giovani a conoscenza degli orrori compiuti dai gruppi terroristici estremisti, si può tramandare il messaggio di pace e far capire che chi semina la morte celandosi dietro una bandiera non fa politica. Attraverso il ricordo delle stragi si insegna il valore della vita, il rispetto per la propria e per quella di chi l’ha persa spargendo il proprio sangue innocente. Gli orrori di ieri per i non errori di domani».

La vostra associazione ha affrontato approfondimenti su quasi tutte le stragi dell’Italia repubblicana: da Brescia a Ustica, da Bologna a Piazza Fontana. Esiste un punto di partenza, un anello da cui parte questa catena di violenze?
MARIO ARPAIA: «Il punto da cui nasce il tutto è lo Stato, i suoi poteri, le sue sovrastrutture e gli interessi politici e sociali ad esso legati. Ma non bisogna partire dagli anni di piombo per formulare delle ipotesi. La tesi delle collusioni ad altissimo livello partono già dalla strage di Portella della Ginestra. Rimasero al suolo 11 morti e 27 feriti, in quella che viene ricordata come la prima strage del secondo dopoguerra, contadini che manifestavano contro il latifondismo, a favore dell’occupazione delle terre incolte. È il primo maggio 1947, siamo ancora molto distanti dagli anni del terrorismo rosso e nero degli anni Settanta, ma la matrice di collusione tra poteri politici e criminali è la stessa».

Giuseppe Casarrubea è uno dei pochi storici pronti a sfidare la storia stessa e a riscriverla. Onorare la memoria degli eventi tragici può essere sufficiente? Oppure, a volte, è necessario metterli in discussione?
MARIO ARPAIA: «Ho avuto l’onore di conoscere Casarrubea, persona squisita e disponibile; mi ha deliziato con la sua cultura in un incontro a cui ha partecipato con serietà e maestria. Alle mie domande su Portella della Ginestra ha risposto in maniera esauriente e circostanziata. L’aspetto che mi ha colpito in modo particolare è stato l’intreccio tra fascismo, mafia, servizi segreti e Cia e la conoscenza approfondita della questione da parte dello studioso. È chiaro che non basta solo ricordare, ma occorre approfondire e scardinare gli eventi con un’analisi critica e oggettiva dei fatti. Un obiettivo importantissimo su cui dovremmo tutti batterci è la rimozione del segreto di Stato; eppure, a distanza di tanti anni dalle stragi, non si riesce a toglierlo, sia che governi la sinistra, sia che sia al potere la destra. La chiave di tutti i misteri è nelle migliaia di pagine chiuse nei dossier impolverati custoditi nei palazzi del potere».

L’Italia ha vissuto anni terribili di mafia e terrorismo. Si possono considerare una pagina chiusa della nostra storia?
LINA PASCA: «Dipende cosa intendiamo per pagina chiusa. Dove c’è uno Stato che non funziona come dovrebbe esistono apparati criminali che vivono nello Stato stesso e che di esso si “nutrono”, insinuandosi nelle strutture del potere. Certo è che con i grandi nomi del sistema mafioso ormai dietro le sbarre, molto si è fatto. Ma non tutto. Non bisogna credere che la parola “mafia” voglia dire semplicemente “uomo d’onore” o “pizzo”. La mafia può essere molto più subdola di ciò che crediamo ed essere presente in maniera occulta anche dove avremmo giurato non potesse esistere. La stessa cosa vale per il terrorismo. Si è evoluto. Un tempo i rivoluzionari colpivano lo Stato con le grandi stragi che, come sappiamo, seminavano la morte tra la gente comune. Oggi si guarda dritto al fulcro della politica e si colpisce al cuore delle istituzioni. Gli omicidi di Massimo D’Antona e Marco Biagi ne sono la prova».

Dopo lo storico gemellaggio Bari-Bologna, qual è il prossimo traguardo che Memoria Condivisa si prefigge di raggiungere?
LINA PASCA:  «Ogni giorno che passa per noi è un traguardo. Abbiamo in mente idee e progetti che mettano in risalto il tema centrale della nostra associazione, il culto della memoria, il ricordo per chi ha perso la propria vita o perché aveva degli ideali o perché si è trovato coinvolto per puro caso in una tragedia. Stiamo lavorando per portare nelle scuole Agnese Moro, figlia dello statista rapito ed assassinato dalle Brigate rosse. Il suo sarà un altro prezioso messaggio rivolto ai giovani. Ovvero che bisogna ricordare il passato per guardare al futuro, e vivere il presente facendo dell’onestà la bandiera della propria vita, perché si può credere in qualcosa, avere degli ideali e degli obiettivi, senza che questi debbano necessariamente scontrarsi con l’assenza di morale. L’etica deve far parte della nostra vita così come l’aria che respiriamo. Speriamo che la nostra associazione contribuisca, anche se in misura minima, a far respirare ai giovani questa preziosa aria».

SIMONE JACCA

PIAZZA FONTANA: LA MADRE DI TUTTE LE STRAGI

Anche l’Italia e non solo il Medio-Oriente può vantare il primato della “madre di tutte le battaglie”.

Non caddero dai cieli come le micidiali bombe dei Caccia, non ci fu nessun video di minaccia al mondo come quelli di Al-Qaeda, ma ugualmente fu la “madre” di tutte le stragi successive.

Oggi, a 40 anni di distanza nessun dubbio c’è, secondo gli storici, sui moventi e gli autori della strage di Piazza Fontana, la “meno misteriosa” tra tutti i “misteriosi” crimini italiani legati alle bandiere politiche: la destra eversiva di “Ordine Nuovo”.

Una politica stragista e sanguinaria della fine degli anni ’60 che battezzò quello che sarebbe poi stato riconosciuto come il periodo più nero della memoria politica italiana. Eppure nessuno ha pagato per quel sangue, nessuno ha finito i suoi giorni nelle fredde galere di Stato, quelle che a volte ospitano chi ha “rubato una mela” e in cui sempre più di frequente trovano la morte esili e “normali” personaggi colpevoli di trovare nell’uso delle droghe il sole alla fine del tunnel. Ma questa, si sa… è un’altra storia.

Per risolvere casi giudiziari, non gravi come questi, si sono spese le migliori forze ed energie per arrivare alla verità. Uomini, mezzi, soldi, apparecchiature, intercettazioni, pentiti. Ma per Piazza Fontana, pressioni, intelligenza e “’intellighenzia” sono occorsi ai servizi segreti deviati per lasciare nei meandri dell’ oblio la prima strage fascista di innocenti.

12 Dicembre 1969 ore 16:37, centralissima Banca Nazionale dell’Agricoltura, Milano. Il grande salone della banca è particolarmente pieno di operatori al lavoro: una violenta deflagrazione spezzerà per sempre la serenità dei presenti e la vita di coloro che nelle proprie case non faranno mai ritorno. I corpi martoriati sono quelli di 17 persone: Giovanni Arnoldi, Giulio China, Eugenio Corsini, Pietro Dendena, Carlo Gaiani, Calogero Galatioto, Carlo Garavaglia, Paolo Gerli, Vittorio Mocchi, Luigi Meloni, Mario Pasi, Carlo Perego, Oreste Sangalli, Angelo Scaglia, Carlo Silvia, Attilio Valè, Gerolamo Papetti. I feriti sono 88.

12 Dicembre 2009 ore 16:37, siamo ancora qui a chiederci il perchè di tante ingiustizie, a ricordare i nostri caduti non pagati da nessuno Stato, inconsapevoli che la loro fine sarebbe rimasta un mistero non in relazione alle mani assassine che hanno tolto loro la vita ma alla ragione etica, oltre che giudiziaria, di una “non pena”.

La Legge è Uguale Per Tutti si legge nelle aule dei tribunali. Continuiamo a sperarci. Crederci è diventato ormai pressocchè impossibile.

 

LINA PASCA

LUISA MANFREDI, SANGUE INNOCENTE

Era la figlia maggiore del bandito sardo Matteo Boe. E’ stata questa la sua condanna a morte? Se sei figlio di un criminale la tua diventa automaticamente  una morte di serie B. Morte fisica prima. Morale, lasciata nel dimenticatoio, poi.

Sono le 18:30 di un freddo martedì di novembre del 2003, il 25 per la precisione. Soffia un gelido maestrale a Lula, piove.  Luisa Manfredi, 14 anni,  è in casa a prepararsi. Da lì a poco uscirà per il suo corso di ballo sardo. Le piace ballare, lo fa con l’entusiasmo e con l’innocente malizia dei suoi anni da adolescente. Incontrerà le amiche al corso, parleranno dei compiti svolti, dell’interrogazione del giorno dopo, di quanto è carino il ragazzino dell’altra sezione. No. Non parleranno.

Luisa viene colpita dal proiettile di un fucile calibro 12, mentre si affacciava al balcone per stendere frettolosamente il bucato. Si accascerà sul terrazzo di casa ed emetterà il suo ultimo respiro 24 ore dopo. Hanno fatto di tutto i medici per rianimarla e riportarla alla vita. Ma non ci sono riusciti a proteggerla. Così come non c’è riuscito suo padre.

Credeva che bastasse risparmiarle il suo cognome per risparmiarle la morte. Ma gli assassini sanno tutto. Sanno cosa mangi la mattina a colazione, sanno che amici frequenti e sanno anche quand’è il momento giusto per colpire.

Qualcuno ha lasciato uno striscione davanti la Chiesa, su c’è scritto: “Chi ha ucciso Luisa?”  Si è pensato ad una vendetta trasversale o  uno scambio di persona prima, di un delitto passionale o politico poi. La madre della ragazza chiede che venga fatta giustizia, che la sua creatura non venga dimenticata, che la gente di Lula che ha visto, se ha visto, parli. Per dire cosa? Nessuno mai dirà com’è morta la figlia di un bandito, anche se questi sta scontando in carcere i suoi errori con la giustizia. La paura è tanta. Chi vive da quelle parti non ci fa più nemmeno caso alle morti atroci che colpiscono anche gli innocenti.

A Lula è calato il silenzio. Si è abbassato il sipario di un teatro di paese dove il dramma si confonde con la realtà, dove il dolore e la disperazione dei parenti e degli amici di Luisa annegano nel lago dell’omertà. Dove sono i mass media? I telegiornali che si scandalizzano e ci scandalizzano per le morti illustri e per le vite dorate di pochi? Abbietti come sempre e alla ricerca del dolore da audience. Lacrime finte o fin troppo facili che scorrono vorticose all’apertura di pacchi milionari.

Lo so che chiedi giustizia, Luisa. Lo so che da lassù urli il tuo grido di dolore. Lo so che chi ti ama in Terra lotta nell’indifferenza mentre tu stai cercando un posto tra le anime del Paradiso, lì dove si vive senza gerarchie.

Non ti dimenticheremo Luisa. Sei la figlia di tutti noi ora, noi che con le nostre flebili vocine chiederemo per te giustizia divina e terrena.

 

LINA PASCA

LO CHIAMANO ABUSO

25 Novembre 2010 – In occasione della “Giornata Internazionale Contro La Violenza Sulle Donne” ripropongo, adattato, “Lo Chiamano Abuso” , pezzo che non ha bisogno di presentazioni. Vuole essere solo un invito alla riflessione e alla sensibilizzazione di un problema enorme per il quale si è fatto ancora troppo poco.

 

LO CHIAMANO ABUSO

Nell’era dell’emancipazione sono ancora tantissime le vicende che vedono un numero impressionante di donne come vittime. Vittime di violenze, stupri, forme diverse di vessazione e persecuzione, molestie, brutalità. In alcuni stati dell’Africa, nel sud della penisola araba e nel sud-est asiatico sono ancora oggi praticate le mutilazioni genitali femminili. L’infibulazione, asportazione del clitoride cui segue la cucitura della vulva, si pratica su adolescenti, bambine o neonate a seconda della tradizione locale. Ad essa segue la defibulazione, scucitura della vulva, che viene effettuata direttamente dallo sposo prima della consumazione del matrimonio. Si ha così la certezza che ella non sia stata posseduta da nessun altro uomo. La donna quindi non ha nessuna libertà, né di agire, né di pensare, né di vivere l’amore come meglio crede. In sostanza non esiste. E’ un oggetto nelle mani dell’uomo padrone, prima il padre, poi il marito. L’escissione lede in modo esponenziale la salute fisica e psicologica delle donne e delle sfortunate bambine che ne sono protagoniste. Non è da dimenticare che l’intervento è il più delle volte praticato senza l’ausilio di nessuna norma igienica e improvvisato da “macellai” senza scrupoli. L’infibulazione, difatti, provoca ogni anno numerose morti tra le sfortunate piccole o grandi donne, vittime di infezioni letali.

Ancora tanto diffuso il fenomeno della lapidazione, pena di morte nella quale chi ne è condannato muore attraverso il lancio di pietre, spesso con la partecipazione della gente comune. E’ una barbarie praticata soprattutto nel mondo islamico. La lapidazione delle donne musulmane avviene persino quando una donna viene violentata, in quanto rea, se sposata, di aver avuto rapporti sessuali al di fuori del matrimonio. In questo caso, la donna viene condannata a morte e uccisa attraverso il lancio di pietre da parte della folla, lo stupratore rimane impunito. E’ di un paio di anni fa la triste vicenda di una ragazzina iraniana di 13 anni, violentata dal fratello, rimasta incinta, e condannata alla lapidazione per rapporti sessuali illeciti ed incestuosi.

Non occorre andare oltre i confini del nostro bel Paese per parlare dei casi di stupro. Potremmo definire lo stupro come fa il codice penale italiano, che lo definisce costrizione mediante violenza o minaccia a compiere o subire atti sessuali.  Una definizione fredda, arida, sterile. Senza sentimento. Il legislatore non poteva fare altro. La definizione giusta dello stupro, in realtà, può essere data solo da chi ne è stata vittima. E’ l’umiliazione più grande che una donna possa subire. Entra nell’anima e l’anima toglie. E’ la sopraffazione sulla parte più intima del suo essere, dell’intero mondo della donna, del suo corpo così come della sua anima. E’ l’annientamento assoluto della sua libertà, della sua vita, dei suoi sogni. Donne che hanno subito violenza nella loro vita, non saranno mai più le stesse. Lo stupro cambia il corso della vita della donna che lo subisce, modifica il suo carattere e la sua personalità. Più della metà (è dimostrato dalle statistiche) è destinata a vivere gravi episodi di depressione, addirittura il 17% si toglie la vita. Chi decide di non farla finita e ha il coraggio di andare avanti, vivrà il resto dei suoi giorni con innumerevoli difficoltà a relazionarsi con gli altri, soprattutto nel rapporto col sesso forte. In seguito allo stupro, molte di queste donne vivono la situazione con senso di colpa e vergogna, tendono addirittura a colpevolizzare se stesse per l’accaduto.

Non dimentichiamo che di frequente la violenza viene perpetrata all’interno della stessa famiglia d’origine. E’ tra le mura di casa che spesso si consumano drammi atroci; il padre, il fratello, lo zio o il vicino di casa possono essere gli orchi cattivi. In questo caso è tutto più difficile. Spesso alle violenze fisiche sono correlate violenze psicologiche che fanno sì che l’esercizio del potere e il controllo da parte del familiare diventi per la donna un tunnel senza uscita. Questa è la ragione per cui la maggior parte dei casi finisce con una mancata denuncia.

Ergo tocca a chi governa il Paese dar vita ad una legge adeguata che possa finalmente punire gli animali a due zampe (senza offesa per gli animali). Tolleranza zero e nessun atto di clemenza nei confronti di chi si macchia di un reato così grave quale può essere la violenza carnale. Ricordo che solo dal 1996 lo stupro non è più reato contro la morale ma contro la persona. E’ solo da allora che non è più considerato semplicemente reato offensivo del buon costume e della morale comune, ma reato contro la vittima e la sua integrità psicofisica.

Nel mondo ogni 2 minuti una donna è vittima di stupro. Questo vuol dire che nel mondo ogni 2 minuti una donna muore. Lo chiamano abuso ma in realtà è la morte. Perché la morte più grande è proprio quella che ti lascia in vita.

LINA PASCA